Enchanted Doll by Marina Bychkova (http://www.enchanteddoll.com/) |
Nel tardo pomeriggio lo specchio del bagno sembra cattivo, restituisce un riflesso strano dalla superficie appannata per la doccia bollente, un viso rotondo dagli zigomi alti e un corpo diafano; i capelli sono raccolti nell'asciugamano e l'accappatoio di spugna ha un odore di bucato un po' dolciastro. Nella stanza accanto il coinquilino s'è messo a suonare la chitarra, un pezzo nuovo forse, se almeno si cambiasse i calzini non sarebbe tanto male; i suoni dell'appartamento vengono presto offuscati dal rumore dell'asciugacapelli, usato con premura per lasciare che i boccoli non si stropiccino mentre i pensieri volano.
Spesso da bambina le dicevano che sembrava una bambola di porcellana,
tanto era bella, se entrava in una stanza tutti gli occhi erano per
lei, per i suoi occhi turchesi e i suoi boccoli, per il suo broncio
volitivo sulle labbra perfette, per la pelle chiara e delicata, per le
mani affusolate dalle rotonde unghie rosate; ogni parente, conoscente,
estraneo lasciava il suo complimento, la sua riflessione su questa
bellezza particolare e accattivante.
Solo che le bambine crescono e
spesso in fretta, si ritrovano a ricevere le attenzioni dell'altro sesso, che non si limita a parlare ma apre un mondo di emozioni e sensazioni, quasi tutte positive e insieme a queste sensazioni si forma una personalità nuova; ogni giorno nello specchio, si cerca un'immagine che ci appartenga, che ci somigli almeno un po'. Una bambina così bella diventa una donna insicura, quasi mai l'hanno lodata per la sua furbizia o per una frase brillante, anche se la sua testa funziona molto meglio della media, lei è quella graziosa ed è difficile deludere le aspettative della gente; se le spunta un brufolo o si sente scombussolata dal suo corpo che cambia sente la tragedia incombere, perché le bambole non hanno imperfezioni.
Così nasce il suo rituale allo specchio, amico e nemico, alleato e giudice, di tante giornate passate ad osservarsi, a sentirsi inadeguata, nonostante l'invidia delle coetanee ancora acerbe e desiderose delle stesse attenzioni.
Dopo due ore passate a prepararsi, un altro specchio, quello dell'armadio a muro, sembra essere un tantino più indulgente: due occhi turchesi dalle ciglia scure lo osservano, matita e mascara ne sottolineano la bellezza, ha delle sopracciglia da principessa delle fiabe e un'aria vagamente altera, labbra rosse e ben proporzionate, lineamenti tra il nordico e il balcanico, ai lobi pendono piccoli orecchini smaltati e ha tre anelli di una foggia simile che manipola spesso durante la giornata. Per la serata ha scelto un maglione ampio, di un colore blu acceso che arriva fino alle ginocchia, prima di uscire lancia un ultimo sguardo allo specchio dell'ingresso, per assicurarsi che quell'aspetto così studiato sia rimasto tale, poi si lancia nella notte.
I locali notturni che servono la fascia d'età tra i venti e i trent'anni si somigliano tutti: il bancone è in fondo e sulla parete dietro ad esso sono scritte le birre e gli altri prodotti, di solito col gesso, non sempre col prezzo, in modo che quando si ordina qualcosa basta sbirciare oltre la spalla del barista e pronunciare la propria personale formula magica; la birra viene servita in bicchieri di vetro allungati, ha una fragranza unica e un sapore pieno, di cereali tostati e sole; la luce che si spande ha i toni del giallo, anche se non illumina granché crea un'atmosfera piacevole rispetto alla nebbia che si spande fuori.
Il ragazzo che le siede di fronte sorride e parla di sé, di lei, ogni tanto tira fuori un complimento, sembra affascinato dal magnetismo dei suoi occhi turchesi e dal suo portamento da regina; oltre il suo aspetto c'è un'indole incredibilmente complessa, una forza interiore perennemente in lotta con le proprie fragilità, un istinto di perfezionismo quasi tossico, un'intelligenza pura e vera che nei momenti difficili è stata cruciale per sopravvivere, per restare a galla nonostante tutto; ma questo il tipo non lo sa, vede la bella ragazza, parla e sorride, anche se percepisce un qualcosa che lo intimorisce.
Vittoria non è mai aggressiva, ma nella conversazione ha sempre posizioni solide e ben giustificate, rivela una coscienza sociale e parla con disinvoltura di religione, sesso e femminismo; lui è stupito, si chiede se riuscirà a gestire le cose e magari anche a godere di quella bellezza antica.
Dal tavolo vicino, una ragazza dagli occhi scuri e un casco di fitti ricci esplode in una risata, la luce balena un attimo sui lineamenti olivastri e attira l'attenzione del suo gruppo e anche del ragazzo; Vittoria, come divertita registra la sua reazione, ora che lo osserva senza essere vista si chiede come possa apparire nudo, cerca di collegare i suoi gesti e il suo modo di fare ad altrettante carezze, morsi, attenzioni da ricevere, ha i capelli un po' lunghi e la barba incolta, si direbbe quasi un uomo se non fosse per i vestiti e quella vaga nota incerta nella voce.
Poi d'un tratto si gira, lancia un sorriso storto e manda giù l'ultimo sorso di birra «Ne vuoi un'altra?» chiede, e lei: «Sono a posto, anzi, magari se vuoi andiamo». Escono dal locale e ritrovano l'aria tagliente della città ad aspettarli, lei rabbrividisce e lui allunga un braccio a cingerle la vita, fanno qualche passo in direzione del notturno, lui le lancia uno sguardo, lei risponde col suo, serio e diretto. I passi rallentano fino a fermarsi, la mano di lui accarezza il suo viso e finisce tra i suoi capelli, si stringono in un bacio che brucia le labbra in quell'aria così fredda, un bacio che ha il retrogusto amaro della birra, mescola gli odori e confonde le menti.
Sull'autobus quasi deserto non smettono di guardarsi senza dire una parola, il braccio di lui appoggiato sopra lo schienale, il pollice a sfiorarle la tempia, la attira a sé e la bacia ancora, mordendole il labbro inferiore e poi il collo, solletica col naso il suo orecchio provocandole una reazione improvvisa. D'un tratto afferra il suo polso e la trascina giù dall'autobus, per un pelo.
L'appartamento è modesto e i mobili sono disuguali, il pavimento è di legno grezzo, fatto di listelli scuri levigati dall'uso su cui è piacevole andare scalzi, in giro ci sono libri e spartiti alla rinfusa e nell'aria c'è un odore speziato misto a quello dei loro corpi così vicini. Appena entrati indugiano ancora occhi negli occhi, le mani esplorano sotto i vestiti invernali che docili cadono a terra, i loro movimenti non sono fluidi, non hanno l'armonia di chi si conosce eppure si cercano e si accordano ad ogni istante. Nella testa di lei mille immagini del suo corpo in varie angolazioni, lo spettro della perfezione dietro la sua spontanea passionalità dura un attimo, in lui l'urgenza del desiderio rende i baci scomposti e umidi, Vittoria porta una mano dietro la nuca di lui affondando le dita nei capelli, fissa lo sguardo nei suoi occhi scuri e si perde nel presente.
Dopo l'amore restano distesi, come due estranei dopo un naufragio sullo stesso lembo di terra, esausti per i baci, i gemiti e i sussurri, una mano scorre ancora sulla pelle liscia di lei, la testa posata nell'incavo della spalla del tipo che la guarda soddisfatto e dice: «Quanto sei bella!», lei alza gli occhi al cielo in un istante impercettibile ma non gli nega una smorfia di compiacimento, non può certo immaginare quanto questa frase possa dolcemente e inesorabilmente rovinare un'esistenza, nello scorrere del tempo che verrà a portarsela via.
Lascia un bacio leggero impresso sulle labbra del nuovo amante, prende per sé il lenzuolo e con un sorriso s'infila in bagno; alla luce della lampadina che pende dal soffitto cerca sé stessa nello specchio opaco sopra il lavabo, la perfezione è sempre lì, anche se con i capelli in disordine e le labbra arrossate, il getto dell'acqua è freddo e l'asciugamano è ruvido al tatto, ma queste sensazioni la rendono più viva dopo il languore del sesso.
Tornata nella stanza spegne la luce e s'infila di nuovo nel letto ritrovando quell'odore particolare della pelle di lui che insieme ai denti bianchi e regolari l'aveva indotta ad accettare l'invito di quella sera, un profumo persistente di cuoio e pepe macinato, troppo strano per non essere notato, uno di quelli che arrivano dritti al cervello, che ti stordisce se riesci a non odiarlo; lo aspira portando il naso sul suo collo e di nuovo si stende accanto a quel corpo forte, impercettibilmente più caldo del suo, che rabbrividisce al contatto con la sua pelle. Nella penombra creata dalle luci della strada le lingue si sciolgono e parlano ancora e ancora, per tutta la notte, lasciando da parte quanto lei sia incredibilmente bella.