sabato 31 maggio 2014

Racconto di famiglia



Mia nonna è una donna speciale e piena di difetti, come tutte le vere donne, incredibilmente moderna nonostante il fatto che la sua data di nascita risalga a quasi un secolo fa.

La vita che conduceva con mio nonno era semplice e modesta, avevano un legame della tempra più solida, costruito sull'amore e sul rispetto, una di quelle coppie follemente innamorate che erano rare persino allora, ai tempi in cui si conobbero alla Fiera del Ponte di Poggio Mirteto.

Tre figlie femmine, una nidiata di nipoti e pronipoti. Tutti accolti con gioia e serenità, nonostante i sacrifici. Nonostante la guerra avesse scavato le sue cicatrici.

Da quanto mi ricordo tutti noi nipoti abbiamo sempre trovato un rifugio in casa sua, una parola gentile, un abbraccio affettuoso e profumato, e tanto tantissimo buon cibo scelto con la cura che solo un vero contadino può avere. Le giornate passate da lei coi miei cugini. Appena arrivati al mattino uscire di casa per la spesa e tornare con la pizza calda di forno, fragrante, pomodoro, alici e mozzarella, tagliata in piccoli triangoli dalle mani premurose della nonna.

Giocare liberi nell'orto sotto casa, pronti a cogliere la novità del giorno: i pulcini appena arrivati; le albicocche da raccogliere ancora calde di sole; le nocchie da schiacciare sotto i sassi; la grotta fresca in cui nascondersi; i mille attrezzi del nonno e gli scarti dei suoi lavori con cui inventare nuovi giochi; scoprire il tepore intimo che emana una gallina mentre cova il suo uovo e tuffare la mano nel sacco delle granaglie; il sapore strano dell'acqua bevuta dal tubo di gomma e quello dolce delle fragole color rosa pallido che non esistono più.

Gli occhi sgranati di mio fratello sul balcone: guarda delle piccole piante verdi, tutte in fila nei loro vasetti, accanto al finocchio selvatico messo a seccare, passa la mano sulle foglie, annusa, riconosce la pianta e dice a mia nonna: «Pensa quanto pane e pomodoro potremo farci!»

I ricordi non smettono di tornare in mente, come un fiume in piena: mio nonno in ospedale per la riabilitazione dopo l'ictus, mia nonna in un altro ospedale si è appena fratturata una gamba. Probabilmente non avevano mai passato una notte lontani da moltissimi anni. Lui al telefono con lei: «Come stai amore mio? Ho tanta voglia di abbracciarti. Quando ti rivedo voglio una corda per legarci insieme stretti stretti e non lasciarci mai più. Ti mando un bacio ma le labbra non mi scrocchiano, sono troppo secche che ho la febbre.» Intorno ai due letti, nei due ospedali, gli occhi lucidi di figli e nipoti.

E poi la sua vita che conosco dai racconti, pur non avendola vissuta al suo fianco. Mia nonna è nata da una stirpe di inventori e poeti che per vivere facevano i contadini, non erano ricchi e non possedevano la terra che lavoravano, le donne di famiglia dovevano essere delle dure dato che la mattina del parto sua madre era arrampicata su un albero a fare erba per i conigli e lei non era da meno, a nove anni fu trapiantata presso una zia in campagna per badare ai bambini, lì prese i pidocchi, corse in giro per il podere a cavallo o in bici, si fece donna.

Proviene da un'epoca in cui dire ad una donna «ti trovo ingrassata» è un complimento, perché significa che non patisci la fame e non sei malata.

Della sua generazione ha preso il senso pratico e il timore religioso. È sempre stata una cuoca straordinaria e non dimenticherò mai il giorno in cui mi disse: «A volte mi chiedo se tutto questo amore che provo nel cucinare non sia peccato», si preoccupava della sua anima.

Eppure con noi era molto indulgente: le ore passate al telefono da Parigi con lei, la sua voce emozionata quando scopriva che a chiamarla ero proprio io, così lontana; i consigli dati ad ogni nipote per gli affari di cuore e i dispiaceri quotidiani; il suo modo di capire i problemi moderni e antichi di tutti noi.

Una donna che è parte della mia solidità, che spero di aver il privilegio di avere al mio fianco, in salute, per ancora molto tempo.