lunedì 21 aprile 2014

Esorcizzare

Esorcizzare. Ovvero: come ho deciso di tornare nella città della catastrofe per tentare di riscrivere le note a margine del posto in questione.

Per chi non lo sapesse la mia personalissima città della catastrofe è Parigi: la meta degli innamorati, la capitale del romanticismo, la sede delle borse erasmus per matematici e informatici di Tor Vergata. Ma andiamo per ordine.

Parigi

Qualche anno fa, in triennale, feci domanda per la borsa e fu talmente facile che senza rendermene conto avevo già un appartamento mostruosamente grande per gli standard locali ad un prezzo più che dignitoso sulla stessa linea di metro della facoltà; un conto corrente in cui la banca francese aveva generosamente versato 80 euro di benvenuto; l'orario delle lezioni da frequentare e un'enorme città da scoprire che mi strizzava l'occhio da dietro i vetri della cucina.

Ero la ragazza che girava coi pattini a rotelle e non saltava le lezioni; il lunedì ascoltavo il Jazz Manouche al Piano Vache, col barista che inveiva contro chi parlava durante l'esibizione; ho mangiato con gusto l'escalope de veau montagnarde di Chez Gladines e il confit de canard del Cafè de l'Industrie; ho ballato musica gitana insieme alla mia coinquilina su un battello lungo la Senna; ho marciato per ore felice alla Techno Parade sorpresa dalla miriade di colori ed espressioni della folla pulsante; ho fatto judo imparando a parlare il Verlan dagli altri atleti della facoltà; ho pedalato in minigonna jeans al ritorno da una festa mentre cadeva la prima neve dell'anno; ho eletto a luoghi speciali una gran quantità di angoli del suolo parigino e sono ancora tutti lì nel mio cuore, lo giuro.

L'esperienza che ho avuto è stata decisamente di quelle che ti cambiano la vita. Ma non in modo riduttivo, uno di quei percorsi che ti ribaltano il cervello come un calzino e che mescolano le carte a tal punto che ci metti quasi due anni a riprenderti.

Vivere a Parigi è stato incredibile, mi ha dato la sicurezza che mi serviva per piacere a me stessa, con la mia faccia e il mio corpo, una parte di quella scintilla che mi contraddistingue la devo alla grande città grigia.

La quiescenza

Il dopo è un'altra storia però: al ritorno il mio conto in banca era vuoto; la mia media universitaria era colata a picco, nonostante i 27 onestissimi crediti conseguiti; avevo chiuso una storia di due anni nel modo peggiore possibile, senza possibilità d'appello e mi trovavo nella mia casa di sempre, coi miei genitori, a cercare di recuperare un qualche equilibrio di convivenza.

Se devo dare un nome a quel lasso di tempo lo chiamerei quiescenza, ma solo perché depressione suona male e viene spesso frainteso con qualcosa di diverso. Per due anni sono stata totalmente incapace di verbalizzare esami universitari, ho sentito il senso di fallimento incombere ogni giorno su di me senza riuscire a reagire, mi sono sentita persa, inutile e insofferente, con una grande voglia di indipendenza non corrisposta dalle mie possibilità economiche.

Ma dato che questa non è la storia di una post-adolescente suicida, dato che questa è la mia storia: ce l'ho fatta!

Due anni e spicci dopo ho scacciato gran parte dei miei spettri, mi sono nutrita delle loro carcasse e ne conservo un buon ricordo; ho trovato la particolare forma di pazzia che mi calza come un guanto e imparato a diffidare della normalità e della perfezione di una vita che non vorrei più; ho elaborato un lutto per me molto significativo e conquistato un rapporto speciale col mio cane Tim, col quale spero di condividere più tempo possibile e di qualità negli anni a venire; ho lavorato duramente per mettere da parte un po' di soldi e mi sono laureata verbalizzando sei esami nell'ultima sessione utile.

Mi sono innamorata perdutamente di un uomo ed è davvero impossibile spiegare per quanti motivi tutto questo mi renda felice, così incontenibilmente prezioso che a pensarci mi viene da piangere e da chiedermi se me lo merito. Ho iniziato la magistrale e mi piace quello che studio, in qualche misura mi riesce bene e mi lascia spazio di manovra per avere una vita sociale. Ho ricominciato ad andare a cavallo, l'equitazione è la mia stanza senza pensieri in cui la mia mente si rilassa e il mio corpo si fortifica, un posto meraviglioso in cui nutrirsi di sole ed empatia. Ho imparato ad accettare che alcune persone partono e che per fortuna con quelle importanti i rapporti non cambiano nemmeno a distanza. Ho ricominciato ad apprezzare la presenza dei miei genitori nella casa in cui vivo e mi rendo conto di essermi sempre sentita al sicuro, nonostante tutto, per merito loro.

La domanda

Qualche mese fa, mi arriva la consueta e-mail sull'orientamento degli studenti erasmus: ogni anno, durante un primo incontro informativo, l'università chiede a chi ha già partecipato al programma di scambio di mettersi a disposizione per raccontare la propria esperienza e rispondere alle domande di chi vorrebbe partire. In un primo tempo ho risposto distrattamente, perché la riunione coincideva con un esame, ma alla fine, dato che l'esame non era finito troppo tardi, ho deciso di andare.

Inaspettatamente ho scoperto che da quest'anno si può rifare domanda e quasi senza rendermene conto ho vinto la borsa e spedito i documenti a Parigi per partire a settembre; ho letto l'offerta formativa e scelto alcuni corsi, ho già un relatore di tesi nell'università che mi ospita e un ottimo relatore interno qui a Roma.

Ma. Parigi fa ancora paura, col suo carico di ricordi agrodolci. Parigi è una città costosa e piena di burocrazia. Temo di non essere all'altezza degli esami e di perdere del tempo che non posso permettermi. Parigi è sulla lista nera delle città per i cani: potrebbe essere impossibile trovare una casa, i cani non sono ammessi su metro, autobus e in una parte dei parchi pubblici (di locali e musei neanche a parlarne), il viaggio è lungo e faticoso. Sarò sola e almeno all'inizio dovrò capire come funzionano le cose.

Questo è quello che mi passa per la testa in questi giorni e non so se scendere da questo treno sia una buona idea, esattamente come non so se questo viaggio mi porterà a raggiungere i miei obiettivi.

A casa è sicuro. Mi sento tranquilla del lavoro che devo svolgere. Ed è bello avere stabilità. Il percorso a Parigi mi entusiasma, accademicamente ho l'opportunità di crescere molto e iniziare a scrivere una tesi internazionale. Posso esorcizzare le mie paure e trovare la mia strada, anche se partire non è quella più facile, posso costruire nuovi ricordi positivi e tornare fortificata. Non sono la stessa persona di qualche anno fa, sono molto più matura per affrontare questa esperienza.

Il punto è che non ho la certezza che sia la scelta giusta.
E, per ora, la mia domanda resta sospesa.