venerdì 17 gennaio 2014

Se prendessi i mezzi pubblici, scriverei più spesso racconti brevi. Forse.

Sono le sei passate e il binario di Termini non è molto invitante così pieno di fiati diversi che si agitano in attesa della prossima metro. Mi porto dietro una sensazione di caldo e umidità sotto gli abiti che indosso dal mattino. Il vagone è affollato e la consuetudine mi spingerebbe a tuffare lo sguardo in un libro, un po' per proteggermi e un po' per evitare di deprimermi nel constatare che il grosso della popolazione vive dietro uno schermo microscopico.

Stavolta no, stavolta inizio a guardarmi intorno; gli unici che si comportano come me sono gli anziani, ma ci sono grosse differenze tra loro: sono una popolazione pensante e pulsante, piccoli e grossi mantici che popolano gli angoli di questo grande carrozzone che in Italia ci sforziamo di definire mezzi pubblici; le donne di solito hanno labbra disegnate e si guardano intorno con severità; gli uomini tendono ad essere meno attenti a quello che gli capita attorno ma non tutti hanno un'aria bonaria.

Accanto a me c'è un capannello di ragazzi, hanno in corso un dibattito, la ragazzina al centro dell'attenzione chiede cosa rispondere al gonzo di turno che spasima per lei in chat, si discute dell'importanza del punto fermo alla fine di una frase, a quanto pare mettere un punto alla fine di una risposta suona aggressivo e il suo lui su questo è un pochino suscettibile. Vicino a me un signore li guarda di tanto in tanto, affascinato e divertito da quello che gli accade intorno, ci misuriamo indovinando i pensieri e ai lati dei suoi occhi subito compaiono le rughe tipiche di una persona facile al sorriso. Manda un odore simile al legno delle travi misto alla salinità del mare d'inverno, inusuale eppure non mi disturba, le sue mani non sono nodose, ma hanno qualche macchia dovuta all'età e le unghie sono un po' spesse, con qualche imperfezione, sono unghie che parlano di lui, restiamo aggrappati allo stesso palo persi nei nostri pensieri.

Un anziano condivide con noi lo stesso appiglio, è più rotondo dell'altro, un lieve rossore sulle guance, vestito sui toni del marrone come quasi tutti i suoi coetanei, ha un paio di scarpe che hanno l'aria di essere parecchio comode; sul pavimento davanti l'uscita sta uno studente tutto capelli, che scribacchia su un'agenda posata sulle ginocchia. L'anziano tranquillo richiama la sua attenzione, lo avverte premuroso che dalla prossima fermata le porte si aprono dal suo lato e quello arruffato lo ringrazia mettendosi in piedi.

Nei sedili lungo il vagone, proprio vicino a noi, una ragazza si alza e scende portandosi dietro le sue cuffiette verde acido e la sua borsa capiente. Il signore che sorride si siede chiedendo «Sei stanca?», scuoto la testa di rimando aggiungendo: «Per carità, sono stata seduta tutto il giorno», lui è incuriosito e chiede «Università? Lavoro?» e io: «Un corso di formazione», alza un sopracciglio a chiedere di più e mi ripropone quelle rughe attorno agli occhi che sorridono al posto suo, allora continuo: «Sì, per poter poi lavorare», mi fa piccole domande spinto da un'indole socievole e si rallegra nel pensarmi in un futuro con un possibile lavoro sicuro, esprime con le mani che stringono le ginocchia i pensieri di una comunità di lavoratori che osserva il mondo cambiare con una nota di apprensione, ma non traduce in parole questi timori, forse per paura di frenare la mia voglia di fare; solo prima che scenda si premura di salutarmi con un «Buona fortuna!» senza negarmi l'inchino delle sue rughe.

Esco e mi sferza l'aria tagliente della sera, mi stringo nel bavero della giacca attorno al sorriso che mi accompagna fino all'auto, mi riscalda anche se le mani gelate faticano a trovare il buco della serratura, devo esercitarmi anch'io per guadagnare un po' di quelle rughe.

sabato 4 gennaio 2014

Pensiero notturno

Dormirò bene stanotte
ancora abbracciata
all'immagine di noi due
mani nelle mani
con fili invisibili
esplorare sotto le pelli
fino ai ventricoli,
divorarci famelici
per finire poi sazi
occhi negli occhi
a riconoscerci
ancora una volta.

Il viaggio verso casa
ha portato in auto
un pezzo di noi
vagamente riconosciuto
finché ho avuto
un muso amico
a cercarmi la mano,
ora qui sola
mi assale una gioia
che resta qui
e non smette
di cullarmi.